L'Italia che non ci sta by Erbani Francesco

L'Italia che non ci sta by Erbani Francesco

autore:Erbani, Francesco [Erbani, Francesco]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


2. Nel Cilento spopolato si riparte da una grotta.

«La forza generativa di un bene». Di un bene culturale. Ripenso spesso alle parole di don Antonio. E ho ancora impresso che le pronunciò mentre sfrecciava con la sua Panda verso l’ospedale di San Gennaro dei poveri. Mi guardavo intorno e quella forza generativa provavo a cercarla sugli antichi edifici della Sanità, come se dovesse manifestarsi staccandosi dalle facciate e invocare solo d’essere riconosciuta e rianimata. Un bene abbandonato, sul quale grava lo stigma del degrado, inservibile, può possedere una vita recondita. E in effetti un germe infilato nella fessura di un pilastro che va perdendo il suo intonaco mi pare di scorgerlo a Pertosa, non in un edificio carico di storia, ma in un anonimo parcheggio a due piani, poco distante dalle Grotte dell’Angelo, retto da possenti colonne bianche sormontate da un disco che simula un capitello dorico. Il parcheggio serviva per ospitare le macchine e i pullman di chi avrebbe voluto visitare le grotte, un fantastico percorso speleologico aperto ai piedi dei monti Alburni, nel Cilento, una settantina di chilometri a sud di Salerno. Due ore o giú di lí dalla Sanità.

Il parcheggio non ha praticamente mai funzionato. Almeno al piano di sotto. Qui non ricordano bene se sia stato costruito prima o dopo il terremoto del novembre 1980. A me sembra un’opera esemplare di quella stagione enfaticamente denominata «ricostruzione», perché ne ha i caratteri del dissennato gigantismo. Ma potrei sbagliarmi. E in fondo non ha importanza collocarlo o meno fra gli sperperi di quegli anni. Basta ricordare che, forse per un difetto di progettazione, se al piano di sopra, al quale si accedeva direttamente dalla strada, erano parcheggiate tante macchine, al piano di sotto non riuscivano ad arrivare i pullman. Tenuto vuoto per alcune decine di anni, il piano interrato ora accoglie un Museo del Suolo, il primo del suo genere in Italia, e mi pare che l’essere collocato sotto il calpestio garantisca un punto d’osservazione scientificamente privilegiato a un museo di questo tipo, cosí didattico e interattivo. Poco piú in là, sempre dove avrebbero dovuto parcheggiarsi i pullman, c’è la sede di un’associazione che organizza rafting nelle anse turbinose del fiume Tanagro e il free climbing sulle pareti che lo fiancheggiano.

A Pertosa sono arrivato insieme ad Antonio Di Gennaro, agronomo, rigoroso investigatore delle terre campane, e a Gabriella Corona, ricercatrice del Cnr, condirettrice della rivista «Meridiana», studiosa di storia dei paesaggi meridionali, all’incrocio fra natura, vicende antropiche e sociali. Lasciata l’autostrada Salerno-Reggio, ci siamo inabissati lungo i tornanti della gloriosa Statale 19, la strada delle Calabrie, fino a non molto tempo fa l’unico tortuoso budello per raggiungere la punta dello stivale. Pochi, ripidi chilometri, percorsi con cautela in mezzo a una vegetazione che questa estate piovosa ha reso rigogliosa e tenace e che, mi spiega Antonio Di Gennaro, segna il passaggio dai caratteri mediterranei a quelli appenninici, contenendoli entrambi: pistacchi selvatici, lecci, carpini e frassini. È un microambiente di transizione, zona di confine, dunque, che però non separa,



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